La Signora delle Camelie

La signora delle Camelie immerso in un’atmosfera d’altri tempi ha il fascino tipico della letteratura francese. Il tema è quello dell’amore impossibile tra Marguerite, la cortigiana più nota di Parigi e il giovane Armand che, amandola, riesce ad abbattere i muri di indifferenza della donna. Ma non aspettatevi il finale “e tutti vissero felici e contenti”. Il romanzo si apre infatti con un flashforward attraverso cui Dumas decide da subito di avvisare il lettore sul triste destino dei due amanti.

L’aspetto più affascinante della storia è che sembra che Marguerite sia una cortigiana realmente esistita e frequentata da Dumas, il che tinge il romanzo di colori cupi. È facile immaginare Alexandre struggersi tra le vie di Parigi per la perdita dell’amata. Dumas ha trasformato il suo romanzo in un’opera teatrale poi musicata da Giuseppe Verdi come La Traviata la cui protagonista è stata portata sulle scene da attrici come Eleonora Duse e Greta Garbo. Nel 2001 anche il regista Baz Luhrmann con Moulin Rouge! ha deciso di raccontare sul grande schermo la storia d’amore di Satin e Christian con riferimenti espliciti all’opera di Dumas, pur inserendo il tutto nella cornice di Montmartre che ricorda, invece, la Bohém di Puccini. Il successo dell’opera di Dumas si può forse legare al fatto che, pur essendo l’amore il tema centrale, non si tratta di un banale romanzo rosa. Se a una prima lettura l’autore sembra voler punire la sregolatezza della vita di Marguerite attraverso la sua morte – la tisi era una delle malattie più diffuse tra le prostitute dell’epoca – e la solitudine dei suoi ultimi giorni, ci si rende ben presto conto che la sua opera è molto di più. Dumas ha reso attraverso pennellate sicure e nette un quadro perfettamente realistico della Parigi dell’Ottocento in cui a regolare la vita sociale borghese è l’ipocrisia di chi solo apparentemente condanna un fenomeno più che diffuso. La storia d’amore prende forma attraverso le parole di Armand: il ricordo dell’amore folle che i due hanno vissuto non riesce a colmare il vuoto lasciato dall’amata neanche a distanza di anni. I due si incontrano a teatro e l’uomo immediatamente se ne innamora, mentre la donna ride di questo giovane inesperto, che a confronto dei suoi molti amanti, non può portarle nessun vantaggio perché per Marguerite l’amore non è altro che uno scambio materiale, non è certo un sentimento che scalda il cuore.

Il passo deciso, la figura slanciata, le narici rosee e aperte, i grandi occhi leggermente cerchiati d’azzurro, denotavano una di quelle creature ardenti, che spandono tutt’intorno un profumo di voluttà, come quei flaconi d’Oriente, i quali, benché perfettamente chiusi, lasciano sfuggire l’effluvio dell’essenza che contengono.

Per due lunghi anni i due non si rivedono perché una malattia tiene lei lontana dalla vita mondana a cui era solita partecipare. Il giovane ogni giorno chiede delle sue condizioni di salute ma senza mai rivelare la propria identità. Una volta guarita, scoprendo che Armand è l’uomo delle visite misteriose, si innamora della sua tenerezza e caparbietà: per la prima volta si è sentita protetta, che sia questo l’amore? Armand, però, non è solo innamorato, è geloso e non può sopportare l’idea che qualcun altro possa anche solo sfiorarla, per Marguerite è difficile rinunciare alle relazioni vuote e superficiali a cui era abituata. Nonostante le difficoltà e le differenze riescono ad essere felici come non lo erano mai stati, ma la famiglia del rispettato Armando non crede nella loro relazione e con un atto di profondo egoismo convincono e costringono Marguerite a lasciare l’amato per timore che, il suo, sia un mero interesse economico. Armand, che non sa la verità, non può fare altro che disprezzarla   

Dunque Marguerite era una sgualdrinella come tante, questo profondo amore che sentiva per me, non ha nemmeno lottato contro il desiderio di riprendere la vita di un tempo.

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Alice nel Paese delle Meraviglie

In origine si trattava di un semplice racconto inventato per distrarre le tre piccole Liddel durante una gita estiva ma le 160.000 copie vendute della prima edizione illustrata da John Tenniel fanno immediatamente capire il futuro di quella fantasia estemporanea. Una storia iniziata più di 150 anni fa e che ancora non accenna ad avere una fine. L’opera di Lewis Carroll è, infatti, una delle più riscritte per lo schermo, spesso in una fusione dei personaggi e delle situazioni dei due libri. Non solo Alice, infatti, viene resa protagonista di quasi 40 versioni tra film, musical, serie tv, manga (e addirittura un porno) ma è anche substrato della più varia cultura letteraria e musicale dell’ultimo secolo. Proposta come letteratura per bambini in realtà si tratta di un’opera molto complessa e articolata basata sulla mutevolezza del linguaggio.

L’opera di Carroll, in questo senso, spiega perfettamente la teoria sulla metasemantica di Fosco Maraini (autore de Il Lonfo, poesia che dovreste assolutamente leggere) secondo cui non sono le parole in se stesse a comunicare. Anche in presenza di parole del tutto inventate il significato, infatti, rimane completamente comprensibile se utilizzate secondo le regole semantiche della lingua in questione. In questo senso la poesia nonsense Jabberwocky di Alice attraverso le specchio e quel che Alice vi trovò, pur non avendo un vero e proprio senso linguistico e logico, non perde la propria sostanza comunicativa.

Era cerfuoso e i viviscidi tuoppi

ghiarivan foracchiando nel pedano:

stavan tutti mifri i vilosnuoppi

mentre squoltian i momi radi invano

La particolarità dell’opera di Carroll risiede nell’utilizzo di modi di dire, proverbi e giochi matematici nella costruzione dei dialoghi. Quelli proposti non sono semplici costruzioni in stile nonsense ma paradossi, cardini della cultura filosofica. Proprio questo rende quasi impossibile una traduzione (e pensate che è stato tradotto in oltre 50 lingue!) fedele al testo originale così profondamente legato alla cultura della lingua di origine. Il famoso indovinello del Cappellaio Matto, ad esempio, pensato originariamente per non avere una soluzione viene spiegato solo successivamente dall’autore stesso per appagare la curiosità dei suoi lettori.

Why is a raven like a writing desk? – Perchè un corvo è simile a una scrivania?

Carroll in una nota spiega che:

it produce a few notes, though they are very flat; and it is nevar put with the wrong end in front!”

In italiano potremmo dire che sia perché entrambi sono capaci di riprodurre note – musicali quelle del corvo e scritte quelle della scrivania. L’aggettivo “flat” (piatto) fa invece riferimento alla nota bemolle (in inglese “flat note”, appunto) e alla carta su cui si scrivono gli appunti. Infine nessuno metterebbe mai una scrivania e un corvo al contrario!

La disgrafia “never” scritta come “nevar” potrebbe far pensare a un refuso determinato dal modo in cui si pronuncia la parola. In inglese, infatti, questo tipo di errore è piuttosto comune (ecco il perché delle gare di spelling in tutti i film e serie tv!). In questo caso, però, in linea con il grado di educazione ricevuta dall’autore e con la natura dell’opera carrolliana, è più plausibile che si tratti dell’acronimo di “raven” (corvo).

Il Paese delle meraviglie è un mondo in cui sembra che nessuna legge trovi applicazione. Nella sua dimensione onirica, in cui tutto è possibile e ogni cosa viene accolta per quello che è, non esistono la fisica, né tantomeno la logica linguistica. Le parole, non più utilizzate per spiegare concetti concreti, si plasmano fino a diventare meri elementi di equazioni matematiche.

Quando io uso una parola” disse Humpty Dumpty, in tono non privo di disprezzo, “la parola significa quello che io voglio farle significare, nè più nè meno.”

Attraversando lo specchio, Alice si trova in un mondo del tutto al contrario ma anche in questo la logica non viene stravolta. È noto a tutti che, guardandosi allo specchio, tutto appare al rovescio. Quindi perché dovremmo pensare che, potendo entrarvi, quel mondo non sia realmente così?

Quello in cui finisce Alice è solo apparentemente un mondo regolato dal caos. La logica e le altre leggi naturali del Paese delle meraviglie sono incoerenti semplicemente perché le valutiamo in base a quelle del mondo che noi conosciamo. Alice, però, attraverso il suo viaggio ci insegna che:

Se viceversa così fosse, potrebbe essere; e se così non fosse, sarebbe; ma dato che non è, non si dà.

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Il fascino di Harry Potter

Sarebbe irrealistico pensare di poter raccontare cosa sia la saga di Harry Potter in un semplice post. Una recensione della trama o un giudizio sui personaggi sarebbe semplicemente la ripetizione di quanto già detto e scritto da altri. La verità, però, è che il suo fascino non ha mai smesso mai di incantare, nonostante siano passati più di vent’anni da quando Salani ha deciso di pubblicare Harry Potter e la pietra filosofale in Italia.

Ci vuole molto coraggio per resistere ai nostri nemici, ma anche per resistere ai nostri amici.

Tutti quelli che hanno amato questa saga, con l’uscita di Harry Potter e i doni della morte hanno ben chiaro il ricordo di cosa significasse poter mettere al proprio posto quell’ultima tessera di un puzzle che si sperava quasi fosse infinito ma di cui, allo stesso tempo, si voleva conoscere il finale. Quell’ultimo libro significava veder chiudere un cerchio durato 10 anni ma anche l’inesorabile vuoto che leggere l’ultima pagina avrebbe portato. Sarebbe arrivata la fatidica domanda che sorge spontanea ogni volta che si sta leggendo IL libro: “e adesso…?”. Perché se è vero che fin dalla prima pagina si ha la consapevolezza che si tratti di finzione, è inevitabile sentirsi parte di un qualcosa che va oltre le pagine di carta.

Abbiamo tutti luce e oscurità dentro di noi. Ciò che conta è la parte con cui sceglieremo di agire. Ecco chi siamo veramente.

La chiave per capire questa sensazione si riesce a capire solo oggi che il fenomeno di Harry Potter è stra-noto a tutti e ogni segreto (forse) è stato svelato. La differenza con le altre saghe di successo è che in questa si percepisce il disegno dell’autrice, che non viene definito di libro in libro ma che le era già chiaro fin dall’inizio. Ogni dettaglio porta a qualcosa di più grande, se pur visibile al lettore solo alla fine. Nelle altre saghe, per quanto ben scritte, si sente la mancanza di una programmazione così minuziosa. In queste ultime spesso si trovano dettagli che servono a dare alla storia una certa direzione ma di cui si potrebbe fare a meno per l’architettura complessiva dell’opera.

La traduzione italiana ha risentito proprio del fatto che il quadro generale rimanesse sconosciuto al lettore, e quindi al traduttore. Nessuno poteva immaginare che anche nella scelta dei nomi ci fosse un significato nascosto. È per questo che il nome Albus Silente stona del tutto con un personaggio che è tutt’altro che “silenzioso” e che l’autrice, infatti, ha dichiarato aver immaginato come “sempre in movimento, che mormora continuamente tra sé e sé” e che quindi si allaccia al suo originale nome di Dumbledore (che rimanda all’antico nome inglese del calabrone, bumblebee). Che dire anche di Neville Paciock, se questo nome può essere giusto per il ragazzino timido dei primi libri è totalmente in disarmonia con l’eroe che diventerà negli anni. La traduzione italiana ha risentito anche della natura stessa dell’opera. Se infatti il primo libro viene recepito come letteratura per l’infanzia, fin dal secondo volume ci si rende conto che si tratta di ben altro. Negli anni trascorsi a Hogwarts non sono solo i personaggi a crescere ma l’intero impianto narrativo che matura con loro.

La Rowling non ha solo creato personaggi di una storia, ogni elemento è talmente dettagliato che non si può evitare di sentirsi parte di quel mondo. Un mondo pensato e descritto in ogni sua sfumatura più piccola, tanto da sembrare reale. Chi, leggendo i sette libri, non è riuscito a percepire il gusto delle caramelle tutti i gusti più uno, l’odore della Passaporta a casa Wesley, il rumore della folla alla coppa di Quidditch?!

È proprio la voglia di essere parte di questo universo che ha portato alla nascita di altri grandi successi. Da una parte il futuro messo in scena a teatro con Harry Potter e la maledizione del bambino – visto anche sugli scaffali delle librerie italiane dal 2016. Dall’altra, il passato raccontato da Animali fantastici e dove trovarli, uscito nelle sale italiane nello stesso anno ma che riprende il titolo di un libro del 2001. Anche in questo caso attraverso quel libriccino, una “guida” di tutti gli animali e le creature del magico universo, il mondo di Harry Potter acquisisce contorni sempre più realistici. Nessuno leggerebbe una vera e propria enciclopedia di cose che non esistono, o no?

Le parole sono, per la mia opinione non tanto umile, la nostra fonte di magia più inesauribile, capace sia di ferire che di curare.

In ogni caso il successo è garantito proprio dal desiderio di immortalità che ogni fan desidera per la propria saga preferita. Questo è il cuore pulsante di ogni serie, che si tratti di televisione o libro. La fine porta con sé il desiderio di sapere sempre di più, ogni piccolo dettaglio dietro alla storia che tanto ha incantato diventa importante. Il rischio sempre presente è quello di mortificare l’opera originale che non insegue dichiaratamente il gusto di un pubblico già ben definito e noto ma che si manifesta in una naturalezza che si perde sempre con ogni prequel o sequel. Nel caso della serie spin-off di Animali Fantastici, in particolare, sembra quasi che l’intento principale sia dare risposta a tutte le domande rimaste (direi necessariamente) insolute con la prima saga. Il risultato è che la trama risulta particolarmente articolata e intricata per soddisfare la richiesta di spettacolarità del cinema. A soffrirne è principalmente la costruzione di quel quadro minuziosamente organizzato e pensato che ha fatto di Harry Potter un fenomeno globale che non teme il passare del tempo. Un universo immaginario la cui forza è di averci fatto credere che reale e magico coesistano perfettamente, illudendoci che, da un momento all’altro, potremmo davvero ricevere la lettera per Hogwarts.