La settimana scorsa è uscita l’edizione economica di Stoner, un romanzo su un uomo qualunque diventato un vero e proprio fenomeno editoriale.
Uscito per la prima volta nel 1965 rimase pressoché ignorato dalla critica e dal pubblico americani con la vendita di sole 2000 copie e un’unica recensione sul New Yorker.
Williams stesso in una lettera alla sua agente esprimeva la propria perplessità a che il romanzo potesse diventare un bestseller “ma se l’editore saprà presentarlo nel modo giusto – cioè non come un altro “romanzo accademico” – potrà vendere decentemente”.
Evidentemente il suo primo editore non riuscì nell’intento.
Cinquanta anni dopo, anche grazie all’interesse di Anna Gavalda, la ribalta. La scrittrice francese nel 2011 ne ha comprato i diritti per tradurlo, destando l’interesse di numerose case editrici. Consci che la firma della Gavalda fosse sinonimo di successo.
Così nel 2012 il romanzo di Williams si trova in cima a tutte le classifiche europee.
Qual è il motivo di questo “ritardo”? Noi non crediamo alla fortuna né alla casualità. Crediamo piuttosto che sia stata una questione di tempismo. I lettori degli anni Sessanta stavano vivendo un momento d’oro, tutto sembrava possibile. Impensabile sentirsi vicini a un personaggio come Stoner, ben lontano da essere il tipico eroe americano. Così diverso da Gatsby che imposta la sua intera esistenza sul successo, Stoner resiste.
Negli anni Duemila il luccichio del sogno americano è ormai lontano. I lettori riconoscono la potenza della semplicità della prosa di Williams e del suo personaggio così umano nelle sue fragilità e fallimenti. Una vicinanza che funge da cassa di risonanza per chi legge, costretto a riconoscere un pezzo di sé in questo moderno “Everyman“.